Patogenesi e prevenzione dell'infezione secondaria da citomegalovirus
ID Progetto: 2015-0043
Ente finanziatore: Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica
Bando: Bando 2015 per la valorizzazione della ricerca biomedica
Ente coordinatore: Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo (PV)
Partner:
Università degli Studi dell’Insubria
Abstract
Il citomegalovirus (CMV) umano appartiene alla famiglia degli herpesvirus e, come i suoi parenti stretti, dopo il primo contatto riesce a rimanere dormiente, o latente, nell’ospite per tutta la vita. La convivenza è generalmente tranquilla, tuttavia la risposta immune non è completamente protettiva e non impedisce né periodiche riattivazioni del virus dormiente né la possibilità di re-infezioni con altri ceppi virali. Come l’infezione primaria, anche le infezioni non primarie (riattivazioni e reinfezioni) decorrono generalmente senza sintomi. Però, nel momento in cui le difese immunitarie sono in difficoltà, ecco che il CMV perde la sua veste bonaria di silenzioso compagno di vita e si trasforma in un agente patogeno devastante e potenzialmente letale. I pazienti con AIDS e quelli sottoposti a trapianto hanno pagato un prezzo altissimo in termini di mortalità e di patologie gravissime dovute al CMV prima che si rendessero disponibili farmaci anti-virali specifici. Tuttora, in assenza di interventi di prevenzione, il 20-40% dei pazienti trapiantati di organo o midollo sviluppa una malattia in seguito all’infezione da CMV, che può risultare anche mortale.
C’è un’altra categoria di soggetti per i quali l’incontro con questo subdolo virus può avere conseguenze disastrose: le donne in gravidanza. Quello che per una donna è il momento più bello della vita ovvero l’attesa e la nascita di un figlio può cambiare radicalmente in peggio a seguito di una infezione da CMV contratta in gravidanza. L’infezione congenita da CMV causa più morti neonatali e problemi a lungo termine delle altre maggiori malattie congenite. Si stima che in Italia nascano ogni anno 3.000 bambini con infezione congenita, 500-600 dei quali già con sintomi evidenti alla nascita o che si svilupperanno in seguito, quali difetti dell’udito, della vista, difficoltà nell’apprendimento e problemi comportamentali.
Anche se il rischio di trasmettere l’infezione al feto con gravi conseguenze è molto più elevato nelle gestanti che contraggono l’infezione da CMV per la prima volta, la presenza di anticorpi anti CMV prima della gravidanza non mette completamente al sicuro il nascituro da un’eventuale infezione congenita. Mancano però dati certi al riguardo.
SCOPO DEL PROGETTO :
Il progetto coordinato dal Policlinico San Matteo di Pavia sarà svolto in collaborazione con 8 Ospedali lombardi (Buzzi, Sacco, Macedonio Melloni e Policlinico di Milano, il San Gerardo di Monza, il presidio di Carate-Brianza Giussano, l’Ospedale di Circolo di Varese, gli Spedali Civili di Brescia, mentre altri centri stanno per essere coinvolti) ed il Consorzio Italiano per la Ricerca in Medicina (CIRM).
Inizialmente si prevede di indagare la storia naturale delle infezioni non-primarie in una popolazione di donne non in gravidanza ad elevato rischio di infezione (mamme di bambini che frequentano l’asilo nido). Parte integrante di questa fase sarà l’analisi genetica dei ceppi virali infettanti e della risposta immune, nonché la messa a punto di test diagnostici. Successivamente, lo studio sarà esteso a circa 24.000 gravide già immuni per il virus con l’obiettivo di verificare la frequenza di infezioni congenite in seguito ad infezioni non-primarie, identificare fattori di rischio nonché la possibilità di prevenire tali infezioni con l’applicazione di quelle norme igieniche che si sono rivelate di grande efficacia nella prevenzione dell’infezione primaria.
Verranno inoltre sviluppate strategie di comunicazione differenziate che tengano in considerazione la disomogeneità della popolazione lombarda (il 20% delle gestanti non è di origine italiana), nonché un portale web, strumenti di formazione a distanza per il personale sanitario, opuscoli multilingue, ed una app per smartphone e tablet.
Nel paziente trapiantato verranno messi a punto test immunologici in grado di distinguere i pazienti in grado di controllare l’infezione da CMV da quelli che, privi di anticorpi o linfociti, sono invece a rischio di infezione/malattia. Attualmente, ciò non è possibile, per cui tutti i trapiantati devono essere sottoposti ad esami continui, almeno settimanali, per sorprendere possibili infezioni da CMV. L’analisi personalizzata del sistema immunitario del paziente permetterà invece di intervenire precocemente con le terapie antivirali nei pazienti a rischio di sviluppare gravi infezioni, risparmiando così la necessità di monitoraggio continuo nei pazienti protetti.
Lo studio avrà importanti ricadute in termini di riduzione della spesa sanitaria. Inoltre, considerata la durata di 3 anni dello studio, si prevede che i risultati saranno disponibili in tempi relativamente brevi.