La nascita della Repubblica democratica: il testo della lectio del professor Giorgio Grasso per il 2 giugno

6 Giugno 2022
2 giugno

Varese ha celebrato il 76° anniversario della nascita della Repubblica italiana, il 2 giugno, con la deposizione delle corone al Monumento ai Caduti in piazza Repubblica, alla presenza di rappresentanti del mondo istituzionale, politico, militare e civile di tutta la provincia. Il messaggio inviato dal Presidente delle Repubblica Sergio Mattarella è stato letto dal prefetto Salvatore Rosario Pasquariello. Alla cerimonia è seguito un momento di riflessione nell'aula magna dell'Università dell'Insubria, con una introduzione del rettore Angelo Tagliabue e la prolusione del professor Giorgio Grasso, ordinario di Diritto Costituzionale, intitolata «La nascita della Repubblica democratica». 

Per tutti quelli che non hanno potuto ascoltarlo e, soprattutto, per gli studenti e le studentesse del nostro ateneo, riproponiamo di seguito  il testo dell’intervento di Giorgio Grasso: una lezione di storia e di democrazia.

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LA NASCITA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA
di Giorgio Grasso

Quando si votò il 2 giugno del 1946 scegliendo la forma istituzionale, che il nostro Stato avrebbe dovuto avere, non si trattava solo di scegliere tra Monarchia e Repubblica. Si doveva compiere, infatti, una decisione di rottura, dopo vent’anni di camicie nere; non si poteva e non si voleva tornare allo Stato liberale prefascista, magari sostituendo semplicemente un Capo dello Stato monarchico, che aveva tradito l’Italia, con un Capo dello Stato elettivo, ma si voleva in realtà provare a impiantare nel nostro Paese i semi che l’esperienza democratica della Resistenza aveva gettato. Gli ordinamenti giuridici delle bande partigiane, cito la Repubblica d’Ossola e la Repubblica d’Alba tra le altre, avevano infatti sperimentato per la prima volta in Italia la democrazia.

Il 2 giugno 1946 milioni di italiani e di italiane parteciparono al voto del referendum e all’elezione dell’Assemblea costituente. Fu la prima volta del voto alle donne, di tutte le donne d’Italia (in realtà già a marzo del 1946, nel voto amministrativo, circa metà delle donne italiane avevano esercitato il diritto di voto). Ma forse si trascura che fu anche la prima volta che votarono generazioni di uomini, se ricordiamo che fu nel 1934 l’ultima elezione, seppur plebiscitaria, della Camera dei deputati; e allora mi sono segnato le date e ho controllato: tutte le leve dei nati tra il 1914 e il 1924, visto che la maggiore età era fissata a 21 anni, non avevano mai votato. Quegli uomini votarono per la prima volta il 2 giugno 1946, non uomini poco più che ragazzi, ma uomini maturi che avevano fatto anche una dura esperienza di vita.

Il voto alle donne fu riconosciuto con un decreto luogotenenziale del febbraio del 1945, eravamo ancora nel corso della guerra, fu riconosciuto in realtà in modo incompiuto e con una ipocrisia di fondo. Incompiuto perché originariamente si prevedeva l’elettorato attivo, ma non l’elettorato passivo, e ipocrita perché erano (e rimasero) escluse dal diritto di voto le donne che praticavano il meretricio, le prostitute. E l’ipocrisia sta nella circostanza che nel regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza era disciplinato nel dettaglio l’esercizio del meretricio, a partire dall’autorizzazione all’apertura di un locale, eppure quelle donne non avevano la dignità per poter votare.

Fu un voto combattuto, 12.718.641 voti validi a favore della Repubblica, 10.718.502 voti validi a favore della Monarchia. Ci fu qualche incertezza prima della proclamazione definitiva, perché si sosteneva da parte di qualcuno – peraltro in modo del tutto capzioso – che affinché la Repubblica avesse vinto bisognava che si sommassero nei voti a favore della Monarchia anche le schede bianche e le schede nulle. E comunque, anche in questo modo, il conteggio diede ragione alla Repubblica. Il voto evidenziò un’Italia spezzata in due, dal Lazio in giù vinse la Monarchia, mentre tutte le Regioni del centro-nord diedero la vittoria alla Repubblica. E anche nelle Regioni dove vinse la Repubblica, non mancarono comuni in cui ebbe la meglio la Monarchia, per il prevalere per esempio di una tradizione rurale che era anche una tradizione fortemente conservatrice (io sono originario di due piccoli paesi dell’entroterra di Savona, in uno di questi, per esempio, vinse la Monarchia con la più alta percentuale di voti di tutta la provincia).

Il 2 giugno 1946 gli italiani e le italiane elessero anche l’Assemblea costituente: 556 deputati tra cui 21 donne, quell’Assemblea costituente che sull’onda e sull’impulso della scelta repubblicana avrebbe poi scritto la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948.

Ma questa Repubblica democratica, di cui si festeggia oggi l’anniversario, come è considerata proprio dalla nostra Costituzione, citata anche negli interventi di chi mi ha preceduto? Si deve ritornare all’uso dell’aggettivo, di cui dicevo all’inizio. Intanto, l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, recita l’articolo 1, comma 1, e quella Repubblica democratica dell’articolo 1 si lega alla forma repubblicana dell’articolo 139, che è sottratta alla revisione costituzionale. Ma poi nell’articolo 10, comma 3, si riconosce il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Ancora negli articoli 39 e 49, disciplinando due delle associazioni più rilevanti per la costruzione della comunità, i sindacati e i partiti politici, si fa riferimento a ordinamenti a base democratica, riguardo ai primi, e al metodo democratico che deve vincolare la lotta politica, la lotta per il potere, da parte dei secondi. Infine, è bello avere oggi tante autorità militari in questa cerimonia ed è molto significativo che l’articolo 52, ultimo comma, stabilisca una cosa che può stupire, pensando che l’organizzazione militare ha per tradizione un’impostazione di tipo gerarchico: l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica, uno spirito democratico che è quindi davvero pervasivo di tutto il sistema costituzionale.

Tuttavia, la nuova Costituzione che affermava questi valori e principi democratici fu faticosamente attuata, era molto difficile infatti, nonostante la mia premessa, assicurare rapidamente l’effettiva trasformazione democratica, facendo prevalere il vento del Nord, il vento della Resistenza. Ci sono tante ragioni che possono spiegare questa cosa, ma ve ne è una significativa da segnalare oggi: l’Assemblea costituente aveva il compito di scrivere la nuova Costituzione, ma non di scrivere le nuove leggi, quelle che avrebbero dovuto demolire, dall’inizio, l’impianto della legislazione fascista: il testo unico delle leggi in materia di pubblica sicurezza, il codice penale, il codice di procedura penale, il codice civile. La possibilità di modificare quelle leggi restò di competenza del Governo, titolare in quella fase transitoria della funzione legislativa, e quelle leggi non furono cambiate. In altri paesi, che hanno vissuto come noi una transizione democratica, trent’anni appresso, cito la Spagna dopo la morte di Francisco Franco e l’avvento del regime democratico con la Costituzione del 1978, quelle Cortes che scrissero la Costituzione approvarono anche le nuove leggi democratiche. Forse era difficile riconoscere quel potere all’Assemblea costituente, ma questa decisione rappresentò un freno al processo di trasformazione della società.

Una festa magnifica quella di oggi, una festa che è stata a lungo dimenticata, perché tra il 1977 e il 2000 – io ero bambino, ragazzo, giovane uomo – la festa era stata spostata nella prima domenica di giugno (dalla legge n. 54 del 1977). Fu il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che diede l’impulso fondamentale per ridare vigore, per restituire dignità a questa festa. Con la legge n. 336 del 2000, intitolata «Ripristino della festività nazionale del 2 giugno, data di fondazione della Repubblica» – ripristino come se ci fosse stato un vuoto, una mancanza – la festa dal 2001 è tornata a essere celebrata il 2 di giugno.

Che cosa vuol dire democrazia oggi, Repubblica democratica? Lo diceva molto bene il Magnifico Rettore che non è scontato vivere dentro un regime democratico. Tutti i paesi del mondo hanno subito una forte regressione democratica in ragione in particolare della pandemia e oggi vi è la guerra in Europa, un altro attacco alla democrazia. Annualmente alcuni istituti indipendenti misurano lo stato della democrazia nel mondo, tra di essi spicca l’Economist Intelligence Unit (Eiu), che pubblica un report intitolato Democracy Index. Esso dal 2006 distingue tra full democracies, flawed democracies, regimi ibridi e regimi autoritari. Noi siamo collocati, comunque, tra le democrazie imperfette, al 31° posto nel 2001, in buona compagnia con paesi come la Spagna, la Francia, gli Stati Uniti d’America. Può sembrare un paradosso, ma al vertice del ranking stanno le monarchie scandinave – la Norvegia in particolare è sempre al primo posto della graduatoria – per sottolineare che monarchia e democrazia possono stare insieme, mentre repubblica e democrazia possono risultare assai distanti. Questo spiega perché in esordio ho così insistito affermando che non ci basta dire oggi Repubblica, perché repubblica è anche il regime autoritario della Russia di Putin, non dobbiamo dimenticarcelo.

Vorrei concludere con la citazione di un grande padre costituente, non era facile tra i tanti giganti che hanno scritto la Costituzione, che hanno combattuto e lottato per la libertà, preferirne uno sugli altri. Ho scelto Emilio Lussu, l’autore di «Un anno sull’Altipiano». Emilio Lussu era stato eletto in Assemblea costituente all’interno del Partito d’Azione. Gli azionisti avevano avuto un ruolo fondamentale nella resistenza, ricordiamo Ferruccio Parri, presidente del Consiglio dei ministri dopo il 25 aprile 1945, ma la loro rappresentanza in Assemblea fu molto esigua, solo una manciata di deputati, rispetto ai grandi numeri dei tre partiti di massa che ottennero il maggior consenso, la Democrazia Cristiana, il Partito socialista, il Partito comunista.

Emilio Lussu il 7 marzo del 1947 fa un intervento che identifica molto bene la giornata di oggi: «Ma io credo che ... la nostra democrazia non dovrà mai rinunziare ad essere democrazia antifascista. La nostra democrazia ha due origini come fatti positivi di importanza e di scaturigine popolare: il grande movimento democratico, nazionale e rivoluzionario, che è l’epopea di questo secondo Risorgimento, il movimento dei partigiani; e la Repubblica popolare che la sovranità del popolo ci ha data il 2 giugno. Il movimento partigiano e il movimento repubblicano, che ci hanno dato la Repubblica, segnano la nascita della democrazia: ad essa noi saremo fedeli in ogni sua ora».

 

(Nella fotografia: l’intervento del rettore Angelo Tagliabue al momento di approfondimento per il 2 giugno nell’aula magna varesina dell’ateneo; a destra, il professor Giorgio Grasso)

 

Ultima modifica: Martedì, 11 Luglio, 2023 - 18:11