Piante alpine a rischio di estinzione per la scomparsa dei ghiacciai: anche l'Insubria nello studio di Stanford

15 Febbraio 2021
piante alpine

Secondo un nuovo studio della Stanford University - con un contributo dell’Univesrità dell’Insubria - quasi un quarto delle piante alpine italiane sono minacciate dal ritiro dei ghiacciai. Le previsioni dicono che i ghiacciai di tutto il mondo scompariranno entro il prossimo decennio e le conseguenze per le piante, gli animali e le società che li circondano sono ancora incerte. Combinando documenti storici, indagini attuali e modelli computazionali, i risultati dei ricercatori possono aiutare a guidare gli sforzi per la conservazione della natura.

Lo studio, intitolato «The consequences of glacier retreat are uneven between plant species» e pubblicato su «Frontiers in ecology and evolution», è firmato da: Gianalberto Losapio (Department of Biology della Stanford University), Bruno Cerabolini (Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita dell’Università dell’Insubria), Chiara Maffioletti, Duccio Tampucci e Marco Caccianiga (Dipartimento di bioscienze dell’università di Milano) e Mauro Gobbi (MUSE – Museo delle scienze di Trento)

«I nostri risultati indicano che, una volta spariti i ghiacciai, la diversità delle piante alla fine diminuirà e fino al 22% delle specie che abbiamo analizzato potrebbe scomparire localmente o addirittura estinguersi una volta che i ghiacciai se ne saranno andati completamente», afferma l'autore principale Gianalberto Losapio – . Abbiamo dimostrato che non tutte le specie sono uguali nell’affrontare il riscaldamento globale e che ci saranno alcune che beneficeranno del riscaldamento globale, i cosiddetti vincitori, mentre i perdenti ne soffriranno».

Quando i ghiacciai si ritirano, espongono nuovi terreni disponibili per la crescita delle piante, ma questo comporta anche un cambiamento nella disponibilità di spazio e nella diversità di tutti gli ecosistemi collegati. Losapio ei suoi collaboratori hanno utilizzato i documenti geologici per ricostruire le posizioni di quattro ghiacciai nelle Alpi italiane, consentendo loro di approssimare l'età delle comunità a valle.

Combinando queste informazioni con la loro indagine contemporanea su 117 specie di piante e analisi delle condizioni ambientali locali, hanno utilizzato modelli computazionali per calcolare come è cambiata la distribuzione delle piante negli ultimi cinque millenni. Con questi modelli hanno previsto anche gli effetti del futuro ritiro dei ghiacciai.

I loro risultati hanno indicato cambiamenti nelle interazioni all'interno delle comunità vegetali, con specie competitive che diventano più prevalenti a lungo termine. Al contrario, le popolazioni di alcune specie cooperative, come l'Artemisia genipi, sebbene siano le prime a colonizzare i terreni liberati, diminuirebbero entro soli 100 anni.

Sebbene ci sia una certa incertezza nelle date calcolate per le comunità più vecchie, i ricercatori hanno ottenuto stime simili utilizzando anche metodi alternativi. Le indagini inoltre non esplorano il ruolo che potrebbe avere l'evoluzione, dato che è possibile che alcune specie si siano già adattate in passato a condizioni mutevoli. Ma il tasso senza precedenti dell'attuale ritirata dei ghiacciai rende improbabile che ora ci sia tempo per tali adattamenti.

Questo studio contribuisce alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica e al Piano strategico delle Nazioni Unite per la Biodiversità 2011-2020. Questi obiettivi si concentrano sulla comprensione dei meccanismi di perdita di biodiversità e sull'aumento della conservazione e della gestione sostenibile delle specie e degli ecosistemi minacciati.

«Le piante sono i produttori primari alla base delle reti trofiche che sostengono le nostre vite e le nostre economie, e la biodiversità è la chiave per mantenere gli ecosistemi sani, la biodiversità rappresenta anche un valore culturale inestimabile che deve essere adeguatamente supportato – spiega ancora Losapio –. Il nostro studio, con i suoi risultati e l'approccio innovativo, può aiutare i conservazionisti, i gestori di parchi naturali e i professionisti a mitigare e anticipare le conseguenze dell'impatto antropogenico sugli ecosistemi della Terra».

 

(foto di Marco Caccianiga, Università di Milano)

 

 

 

 

Ultima modifica: Martedì, 11 Luglio, 2023 - 18:13