All'Insubria 800.000 euro dal Progetto AGER II per l'Agroalimentare

Un progetto di ricerca sulla nutrizione dei pesci in allevamento intensivo, presentato dal Gruppo di Ricerca in Acquacoltura del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita (DBSV), è risultato il primo in graduatoria nel bando AGER II per l'Acquacoltura e riceverà un finanziamento per 784.000 euro. Il progetto, presentato nell'ottobre 2015 dal professor Marco Saroglia, e ora coordinato dalla professoressa Genciana Terova, prevede la collaborazione di vari gruppi nazionali (Università di Torino, Bicocca e Sassari, Porto Conte Ricerche, Parco Tecnologico Padano), a fianco dei quali collaborerà l'Università dell'Idaho. Il tema di ricerca è lo studio dei meccanismi fisiologici della nutrizione, alla luce della formulazione di nuovi mangimi ecosostenibili in grado di garantire un'elevata qualità del prodotto finale destinato all'uomo. I vari working package del progetto comprendono studi su come differenti sorgenti proteiche animali o vegetali possono influenzare la funzionalità dell'intestino e lo stesso microbiota intestinale della trota e della spigola (branzino), quindi la qualità del filetto, l'impatto sulle risorse oceaniche e sull'ambiente, senza dimenticare gli aspetti economici. D'altra parte AGER ha recepito la necessità di ricerca di un settore in crescita dell'8,5% all'anno che già fin da ora supplisce quasi il 20% del fabbisogno proteico mondiale, dando vita ad una vera e propria rivoluzione “blu” nel settore agroalimentare.
La crescita della popolazione umana negli ultimi due milioni di anni è andata di pari passo, in una progressione a gradini, con la capacità di procurare il cibo. Se le rivoluzioni culturali dei “raccoglitori-cacciatori” del periodo Mesolitico (da 90 a 70.000 anni fa) consentirono di raggiungere una popolazione prossima ai 10 milioni di abitanti, fu la rivoluzione agricola del Neolitico (da 8000 a 3000 anni fa) a cambiare letteralmente le cose, consentendo di alimentare una popolazione umana superiore a mezzo miliardo, già all'inizio del secondo millennio. Solo in seguito alla rivoluzione industriale ed alle scoperte dei secoli XVIII e XIX si osserva un nuovo incremento nella velocità di crescita della popolazione mondiale che raggiunge la soglia di un miliardo all'inizio del '900. E' a questo punto che l'invenzione di processi per la produzione industriale di un indispensabile fertilizzante quale l'ammoniaca, da il via ad una vera e propria rivoluzione verde fruttando tra l'altro il premio Nobel a Friz Haber nel 1918 ed a Carl Bosch nel 1931. Ma i vantaggi produttivi della fertilizzazione dei terreni sulla produzione di cereali, quelli che contribuiscono a sfamare la popolazione di 7 miliardi dei primi anni di questo terzo millennio, si riescono a sfruttare solo dopo gli studi di Norman Borlaug (Nobel nel 1970) che con il miglioramento genetico del frumento consente di coltivare grano che non si alletta sotto il peso di una spiga ipertrofica. A partire dalla seconda metà del XX secolo. Dopo la conferenza di Kioto (FAO, 1976), si assiste ad un progressivo incremento dell'allevamento del pesce in varie parti del mondo, ma specialmente in Cina, dando luogo ad una vera e propria rivoluzione dell'agroalimentare che però si basa sulla risorsa oceanica per l'alimentazione del pesce allevato.
Il consumo di prodotti ittici di pesca è testimoniato da reperti risalenti ad almeno 90.000 anni ma è solo in pieno Neolitico e in Cina che compaiono le prime testimonianze di allevamento di pesce, essenzialmente di carpa. Le tecniche cinesi di allevamento in risaia, o quelle di pesce marino nelle valli da pesca in epoca romana, ci vengono tramandate attraverso i secoli, pur senza grandi innovazioni o significativi incrementi di produzione, mentre l'aumentata domanda di pesce viene soddisfatta con incrementi nello sforzo di pesca fino a metà del XX secolo. Già nel corso del XIX secolo si vede crescere l'interesse degli studiosi per ricerche sul controllo della riproduzione, sull'alimentazione e sulle tecniche di allevamento del pesce. Sono questi studi, relativamente recenti, a fornire le basi conoscitive per quella che ora possiamo definire una vera e propria rivoluzione “blu”.
La produzione di prodotti ittici allevati che da un paio di anni ha superato la produzione della pesca ne è il risultato ed è ormai in grado di fornire il fabbisogno proteico ad una popolazione di 1,3 miliardi di persone, pari all'intera popolazione cinese, oltre a fornire l'indispensabile fabbisogno di acidi grassi polinsaturi a lunga catena noti come omega-3. La produzione ittica europea, pur in costante incremento, è ben lungi dall'essere autosufficiente tanto che l'importazione ammonta, all'interno dell'EU, al 67% dei fabbisogni. Tale percentuale è ampiamente superata dall'Italia che copre con l'importazione da paesi extra-comunitari quasi l'80% della domanda interna di pesce. Tra i colli di bottiglia che costringono la produzione, uno dei più stringenti è la disponibilità di materie prime per la produzione dei mangimi. Un'acquacoltura sostenibile non può ulteriormente sfruttare la pesca oceanica quale risorsa di farine e olio di pesce, per coprire il fabbisogno proteico e lipidico degli animali allevati. Nel corso degli ultimi 10 anni le case mangimistiche hanno infatti gradualmente sostituito tale risorsa con proteine ed oli di natura vegetale, con conseguenti problemi sulla crescita dei pesci e sulla qualità alimentare delle carni prodotte. E' indubbio che proprio l'individuazione di risorse proteiche e lipidiche alternative e sostenibili, quindi la progettazione di diete in grado di mantenere il pesce in buona salute e di fornire al consumatore carni di alto valore nutrizionale, rappresenta la principale sfida per l'acquacoltura del XXI secolo.
